È informazione recente che il prezzo di vendita delle azioni della Banca Popolare di Bari sia sceso dal massimo storico di € 9,53 ad un prezzo molto inferiore, con una perdita secca di circa il 75% per chi aveva comprato a prezzo pieno. Questa perdita ha allarmato non poco i circa 70.000 azionisti, impauriti dalla possibilità di perdere quasi integralmente il loro capitale.
Omissione di informazioni specifiche
Cosa nota, ad oggi, è la moltitudine di pronunce di condanna emesse dall’Arbitro delle Controversie Finanziarie (ACF) nei confronti della Banca Popolare di Bari. L’Intermediario, nella maggior parte dei casi, viene giudicato responsabile per la violazione degli obblighi informativi nella vendita di azioni. La più recente novità, tuttavia, è rappresentata dalle prime pronunce di condanna da parte dei tribunali ordinari, che rappresentano senz’altro un precedente molto importante nella sempre più marcata promozione di azioni giudiziarie volte ad ottenere effettivo ristoro. Ciò, a maggior ragione, a fronte del rifiuto, da parte dell’Istituto di credito, di eseguire le decisioni del richiamato ACF, organo adibito alla definizione delle dispute in via stragiudiziale.
La dinamica risulta quasi sempre la medesima: sull’onda dell’aumento di capitale del 2014, i funzionari degli sportelli bancari, complice il rapporto di fiducia instaurato con i risparmiatori, inducevano i soci alla sottoscrizione di investimenti, senza previamente renderli edotti delle informazioni in merito alle caratteristiche del prodotto, e, in particolare, alla modalità di smobilizzo. Altamente difficoltosa (se non impossibile), difatti, si è poi rivelata la vendita delle azioni per il recupero dell’investimento o, almeno, di parte dello stesso. Volendo sintetizzare, le principali irregolarità riscontrate negli investimenti effettuati con la Banca Popolare di Bari sono:
- inadempimento dei doveri informativi, nella specie in tema di illiquidità o difficoltà di smobilizzo dei prodotti finanziari;
- inadeguatezza dell’investimento proposto, rispetto alla profilatura del cliente investitore.
La Banca, dunque, in molteplici casi, viene censurata perché omette di fornire ai clienti le informazioni specifiche riguardanti la natura ed i rischi delle singole operazioni sottoscritte, rendendo di fatto impossibile un investimento consapevole. In altri termini, stante l’impossibilità di rivendere i titoli e liquidare, così, l’investimento, l’intermediario avrebbe dovuto rendere dettagliate informazioni sulla illiquidità del titolo, ovvero sulla scarsa probabilità di vendere, rendendo edotto l’investitore delle difficoltà di smobilizzo.
Acquisti azionari non adeguati ai profili di rischio
Quanto alla seconda censura, nella stragrande maggioranza dei casi l’investimento è stato accertato come del tutto inadeguato, sia sotto il profilo oggettivo (ad es. essendo stato investito l’intero capitale su unico titolo), che sotto il profilo soggettivo. I sottoscrittori delle azioni lamentano di essere soggetti privi di esperienza in materia finanziaria a cui, pertanto, non avrebbero potuto essere venduti prodotti così rischiosi. L’Intermediario, non adeguando l’investimento alla profilatura dell’azionista, avrebbe consigliato i predetti acquisti azionari sebbene non adeguati al profilo di rischio, qualificato medio o medio-basso, a fronte di un prodotto illiquido, classificabile, propriamente, a rischio alto.
D’altra parte, secondo costante giurisprudenza, l’intermediario deve dimostrare di aver assolto agli obblighi informativi in modo non meramente formalistico. Pertanto, ai fini della dimostrazione del proprio diligente assolvimento degli obblighi, non è sufficiente la dichiarazione del cliente di “aver preso visione” della documentazione informativa e di “aver ricevuto l’informativa sui rischi dell’investimento”, essendo necessario invece che l’intermediario provi di aver adempiuto nella loro effettività a tali obblighi, fornendo al cliente tutte le informazioni necessarie e personalizzate, al fine di consentirgli di valutare le caratteristiche dell’investimento e da ciò farne scaturire scelte quanto più consapevoli.
Le anomalie così esposte danno diritto all’azionista a dedurre la risoluzione del contratto di investimento, con conseguente obbligo della banca alla restituzione del capitale investito, calcolato al controvalore iniziale.
La tutela giurisdizionale degli azionisti, oggi, si muove proprio in tale direzione. In ragione del grave inadempimento degli obblighi contrattuali di diligenza, trasparenza ed informazione, nonché di tutte le obbligazioni poste a carico dell’Intermediario dalla normativa di settore, l’investitore, in ragione della evidente perdita di valore delle azioni, può ottenere il risarcimento del danno pari alla differenza di prezzo tra l’acquisto e l’attuale valore dei titoli.