Fino a pochi anni fa la legge disciplinava esclusivamente l’unione familiare fondata sul matrimonio.
L’art. 29 della Costituzione recita che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
Con il tempo, la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che “famiglia” e “matrimonio” sono istituti che si sono evoluti col tempo, e che possono ancora evolversi con l’evolversi della società, tenuto conto che sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali.
Nonostante ciò, per ora, ha comunque posto un veto alla completa equiparazione del matrimonio “classico” con l’unione tra persone dello stesso sesso; questo perché, a suo dire, i costituenti discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. In altre parole, avevano in mente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso si spiega anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, si riferiva proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.
Nella pratica, però, la Corte ha sempre ritenuto che in materia di coppie more uxorio dovesse intervenire il Parlamento.
I passi in avanti compiuti dalla giurisprudenza hanno consentito (anche se non con pochi problemi e mediazioni) l’emanazione della c.d. Legge Cirinnà, la n. 76 del 20 maggio 2016, con la quale c’è stato ufficialmente un allargamento della definizione di famiglia quale unione non esclusivamente fondata sul matrimonio, ma su una comunione di vita materiale e spirituale. La l. Cirinnà, oggi, disciplina le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto. Nella maggior parte dei casi la norma non fa altro che recepire gli sforzi compiuti col tempo dalla giurisprudenza e volti ad estendere, a queste diverse tipologie di unione familiare, i diritti e gli obblighi previsti per le coppie sposate.
Le unioni civili
Le unioni civili sono realizzabili esclusivamente tra persone dello stesso sesso.
Ai sensi dell’art. 1 della l. Cirinnà, due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. L’ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile. In generale, al comma 20 viene precisato che “… le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Per il resto, l’unione civile tra persone dello stesso sesso comporta conseguenze molto simili al matrimonio. Con la costituzione dell’unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi obblighi; assumono l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni, ed a concordare l’indirizzo della famiglia. In caso di morte del prestatore di lavoro parte dell’unione, le indennità di cui agli artt. 2118, 2119 e 2120 c.c. devono essere corrisposte anche all’altra parte dell’unione civile. Stessa disciplina vale anche per la scelta del regime patrimoniale.
In linea con lo spirito normativo del d.l. 132/2014, convertito con modifiche dalla l. 162/2014, che ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune, la l. Cirinnà prevede che l’unione civile possa sciogliersi, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione. Con i decreti legislativi n. 5, 6 e 7 del 19 gennaio 2017, il Governo ha dato attuazione alla nuova disciplina sulle unioni civili adeguando le norme dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni; riordinando le norme di diritto internazionale privato in materia di unioni civili; e introducendo nel codice penale e di procedura penale le necessarie disposizioni di coordinamento per consentire l’equiparazione del partner dell’unione civile al coniuge.
Le convivenze di fatto
La l. Cirinnà ha disciplinato anche le convivenze di fatto, ossia convivenze tra coppie omosessuali o eterosessuali che vivono come se fossero unite da vincolo matrimoniale. Anche coloro che non vogliono regolare il loro rapporto con il matrimonio o con l’unione civile sono, dunque, parimenti meritevoli di tutela dall’ordinamento.
Per esclusione, sono conviventi di fatto due persone maggiorenni unite in modo stabile da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La prima novità dalla l. Cirinnà riguarda le modalità di riconoscimento della convivenza: è sufficiente una dichiarazione anagrafica presentata al comune di residenza, con la quale i conviventi autocertifichino di convivere allo stesso indirizzo.
Superati gli eventuali accertamenti dell’Ente, i conviventi acquisiscono gli stessi diritti dei coniugi previsti dalle norme sull’ordinamento penitenziario; circa il diritto di visita, di accesso ai dati personali sanitari, di rappresentanza (in caso di specifica designazione in forma scritta o a mezzo testimone); di abitazione, in caso di morte del convivente/proprietario (per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni, e comunque non oltre i cinque anni; per tre anni, se vi risiedono anche i figli); e di subentro nel contratto di locazione in caso di morte o recesso del convivente. Ancora, i conviventi potranno essere considerati “nucleo familiare” ai fini delle graduatorie per gli alloggi popolari; e potranno partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner, nonché ai beni acquistati con questi ultimi e agli incrementi dell’azienda, in proporzione al lavoro prestato.
In caso di cessazione della convivenza, l’ex convivente ha diritto a ricevere gli alimenti, ma solo qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Tale conseguenza sorge solo a seguito di accertamento giudiziale: spetterà al Giudice stabilire, poi, il quantum degli alimenti da conferire all’ex convivente, per un periodo proporzionato alla durata della convivenza.
Sempre al momento della cessazione della convivenza, le parti potranno disciplinare autonomamente l’affidamento e l’esercizio della responsabilità genitoriale, sotto forma di accordo da sottoporre al Giudice tramite ricorso, al fine di ottenerne una sorta di “omologa”.
I conventi di fatto hanno comunque la possibilità di regolamentare il loro rapporto tramite un contratto di convivenza redatto in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata, con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Il contratto, di norma, prevede le modalità di contribuzione all’unione familiare ed il regime patrimoniale scelto; ma può anche disciplinare, ad esempio, l’acquisto di beni immobili in comune.
Nulla vieta a ciascun convivente di recedere unilateralmente (oltreché, ovviamente, consensualmente) dal contratto di convivenza, sempre tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Per concludere, si deve sottolineare come all’interno della l. Cirinnà manchi l’obbligo reciproco di fedeltà sia in materia di unioni civili che di convivenze, così come previsto tra i coniugi dall’art. 143 c.c.. Su questa scelta legislativa non c’è uniformità di vedute. Alcuni commentatori sostengono che sia stata dettata dalla volontà di far prevalere il matrimonio su queste diverse unioni familiari; altri ritengono che tale omissione determini parimenti una violazione del principio di uguaglianza; con la conseguenza che anche per queste nuove unioni familiari vige predetto obbligo. D’altro canto, l’infedeltà potrebbe ledere la dignità e l’onore del coniuge (rectius, convivente) tradito, rappresentando un illecito civile suscettibile di risarcimento danni per una costante giurisprudenza della Cassazione (ex multis, Cass. civ. Sez. I, 1 giugno 2012, n. 8862), oltre che essere fonte di addebito della separazione (ma solo qualora sia la causa della rottura del legame affettivo, e non la conseguenza).
Le coppie di fatto
Nonostante la recente regolamentazione dei rapporti di queste (sempre meno atipiche) unioni familiari, nulla vieta alle coppie more uxorio di non formalizzare in Comune la propria stabile convivenza, e dunque di non qualificarsi come “conviventi di fatto” ai sensi della l. Cirinnà.
Tale convivenza, essendo sempre revocabile e non fondata su un atto giuridico vincolante, non consente di configurare per i conviventi i canonici obblighi di coabitazione, e di assistenza morale e materiale. Per queste “coppie di fatto” continueranno ad applicarsi le tutele e gli obblighi individuati col tempo dalla giurisprudenza (e da alcune norme, quali la l. 154/2001, che ha esteso ai conviventi l’applicabilità delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari), certamente minori rispetto alle convivenze di fatto “formalizzate”, come ad esempio il diritto ad un termine di preavviso per l’esclusione dall’immobile di comune residenza.
Fonti:
L. n. 76 del 20 maggio 2016 (c.d. l. Cirinnà)
Corte Cost. n. 138/2010
Cass. n. 19423 del 15.9.14