La disciplina della responsabilità penale colposa degli operatori sanitari è adeguata alle peculiarità della situazione emergenziale, oppure sarebbe necessaria una disciplina ad hoc?
Analizziamo i possibili scenari in questo nuovo podcast dell’Avv. Giovanna Palmieri.
Versione testuale.
La responsabilità penale colposa degli operatori sanitari nell’attuale contesto emergenziale
Premessa
Preso atto che ci si trova di fronte ad una situazione sanitaria emergenziale completamente nuova, occorre chiedersi se, allo stato attuale, ci sono strumenti a protezione dal sempre maggiore “rischio penale” a cui si trovano tuttora esposti gli operatori sanitari.
La diffusione a ritmo esponenziale del Covid-19 ha messo in luce i limiti del Sistema Sanitario Nazionale in termini di risorse disponibili (per il numero inferiore di posti letto, disponibilità di farmaci ed apparecchi, di personale medico ed infermieristico, con conseguente effettuazione di turni di lavoro massacranti). Come abbiamo appreso dalle fonti nazionali, proprio a causa del deficit di organico, ci si è trovati costretti a fare ricorso ad altri operatori sanitari disponibili privi del necessario livello di specializzazione (giovani laureati, specializzandi e pensionati, che hanno dovuto sopperire alle carenze). Da parte loro, in queste evenienze vi è un’assunzione volontaria del rischio, punibile a titolo di colpa perché riconducibile alla violazione di una regola cautelare prudenziale, che dovrebbe condurre ad astenersi dall’attività. Inoltre, per trovare una cura in grado di debellare l’infezione si procede “per tentativi”, senza potersi affidare ad evidenze scientifiche condivise, utilizzando farmaci sottoposti a sperimentazione e off label, prescritti per un’indicazione terapeutica diversa.
Gli errori clinici
L’eccezionale scenario causato dalla pandemia, dunque, ha moltiplicato le possibilità di commettere errori clinici, per tutta la serie di fattori a cui si è fatto brevemente cenno.
Ebbene, l’uomo fa sempre ricorso al meccanismo dell’imputazione del male a un soggetto “responsabile”. Ed ecco che la colpa penale consente di coltivare la convinzione che in qualche modo l’uomo abbia sempre il potere di controllare, ridurre o azzerare un rischio insito nelle attività sociali: questa è, ovviamente, un’illusione.
Dovendo dare una definizione, la responsabilità penale colposa è la realizzazione non voluta di un fatto tipico (quindi inquadrabile in un reato), causata da negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero dalla violazione di una o più regole cautelari e personalmente rimproverabile al soggetto.
Dato il numero (elevatissimo) di decessi, non è irragionevole attendersi un altrettanto esponenziale aumento del numero di denunce e richieste di risarcimento nei confronti degli operatori e delle strutture sanitarie per presunte colpe nella gestione delle migliaia di pazienti travolti dal virus.
In effetti, sono già apparse iniziative pubblicitarie promosse da alcuni avvocati, candidatisi a rappresentare in sede penale le famiglie delle vittime di Covid-19. Gli organi istituzionali dell’avvocatura hanno sin da subito assunto posizioni di grande durezza nei confronti degli autori di quelle che sono state definite delle “bassezze” deontologiche, promettendo ripercussioni a livello disciplinare. L’accusa di sciacallaggio da parte di varie associazioni dei medici è riuscita a bloccare lo squallido tentativo di speculazione, ma certo non sono sufficienti a impedire azioni future.
Una disciplina ad hoc
È evidente che una risposta punitiva nei confronti dei medici che stanno gestendo una tale emergenza sanitaria non appare in linea con lo spirito di grande sacrificio e dedizione che sta dimostrando l’intera classe medica per fronteggiare questa situazione. E infatti la dottrina più attenta propone di introdurre “… un’apposita disciplina volta ad ampliare l’area di esonero da responsabilità colposa dei medici, plasmata sulle peculiarità della medicina dell’emergenza pandemica”.
Perché si auspica una disciplina ad hoc? Perché l’attuale disciplina sulla responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria (in particolare l’art. 590 sexies c.p., introdotto dalla c.d. legge Gelli-Bianco nel 2017) non appare adeguata all’odierno contesto emergenziale, e questo conferma, ancora una volta, il radicale fallimento del secondo intervento normativo, appunto la Gelli Bianco, ma questo è un discorso molto più ampio.
Volendo qui semplicizzare una disciplina tutt’altro che semplice (e che hanno “tentato” di semplicizzare le Sezioni unite penali della Cassazione nella sentenza Mariotti del 2018) l’esercente la professione sanitaria può essere chiamato a rispondere della morte o delle lesioni del paziente generalmente a titolo di colpa lieve; se, tuttavia, l’evento si è verificato per un’imperizia solo nell’esecuzione di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso di specie, allora, il sanitario sarà punibile solo per colpa grave, tenuto conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.
Oltre alla difficoltà del giudice nell’accertamento di tutte queste “condizioni”, l’ambito applicativo di questo esonero da responsabilità è piuttosto ridotto.
Andando ad elencare i motivi per cui la disciplina attuale non si adatta alle specificità dell’emergenza sanitaria da Covid-19, si può verificare quanto segue:
- innanzitutto l’esonero da responsabilità penale per il medico è previsto solo per i casi di omicidio e lesioni colposi; mentre oggi andrebbe esteso anche al reato di epidemia colposa;
- l’art. 590 sexies c.p. è limitato alle sole ipotesi di imperizianon grave, riferibile al solo atto esecutivo; mentre le ipotesi di colpa (non punibili) da considerare nell’emergenza Covid-19 devono essere estese anche agli episodi di negligenza o di imprudenza non gravi (si pensi al difetto di attenzione derivante dal dover lavorare per molte ore consecutive, con ritmi massacranti o con insufficiente personale medico-infermieristico specializzato);
- per la non punibilità occorre aver rispettato linee-guida accreditate o buone pratiche clinico-assistenziali consolidate; invece, proprio perché è una malattia nuova, mancano indicazioni cliniche consolidate. Come detto, la cura del Covid-19 avviene interamente “off label”, ovvero attraverso l’impiego “fuori etichetta” di farmaci pensati per altre patologie.
In conclusione si tratta di uno scenario che non può mai essere attinto dalla disciplina introdotta nel 2017. La proposta di creare una disciplina ad hoc si stava materialmente concretizzando. Ci riferiamo alle misure che avrebbero dovuto essere inserite in sede di conversione del Decreto “Cura Italia” che avrebbero dovuto prevedere una limitazione della responsabilità penale per gli operatori sanitari ai soli casi di colpa grave. Tuttavia, in un emendamento presentato da varie forze politiche aveva fatto ingresso qualcosa di eccedente rispetto all’obiettivo primario cioè uno scudo penale anche per le strutture sanitarie, pubbliche o private e i dirigenti amministrativi, con ricadute in danno degli stessi operatori sanitari. Invero, dalle responsabilità organizzative a monte vanno tutelati i pazienti vittime e – almeno in maniera postuma – a maggior ragione, gli stessi medici, i quali, proprio a causa delle colpe delle Asl abbiano subìto lesioni o addirittura eventi letali evitabili.
Conclusioni
Come al solito, tutto si è concluso in un’occasione sprecata; a questo punto occorrerà attendere gli esiti del tavolo di lavoro proposto dal Pd per approfondire il tema della responsabilità nei suoi vari aspetti, con l’auspicio che la questione (cruciale) non cada nel dimenticatoio.
Per il momento, la difesa del medico passa per la “bravura” dei suoi difensori: ad esempio l’art. 2236 c.c. potrebbe costituire una soluzione indispensabile per limitare eventuali responsabilità penali collegate alla pandemia. La norma, peraltro, offrirebbe una protezione anche a tutti i sanitari che, per ragioni organizzative, si sono trovati ad operare al di fuori del proprio specifico ambito di competenza o senza averne l’esperienza necessaria. Mai come in questo momento, sembra plausibile ipotizzare casi di colpa determinati non tanto da errori nel trattamento della malattia, quanto da stanchezza, fatica, stress e urgenza dovuti alle contingenze (ad es. una dimenticanza, una prescrizione affrettata, un controllo superficiale e così via).
Di sicuro una risposta sul piano legislativo avrebbe ben altro impatto sulla potenziale “medicina difensiva dell’emergenza”, tranquillizzando i sanitari circa la loro futura “incolumità” giudiziaria.