E’ online il mio ultimo contributo per la rivista online CyberLaws. Potete leggerlo anche qui.
Premessa
Social network e servizi affini hanno acquistato nel corso degli anni un’importanza vitale per la società e per le persone, giungendo sempre più spesso nelle aule di giustizia, e provocando decisioni innovative da parte delle Corti. Analizziamo insieme qualche pronuncia.
I fotogrammi di Google Earth possono essere considerati prove documentali?
La risposta è affermativa: i fotogrammi del noto portale Google Earth costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili sia innanzi al giudice amministrativo, sia in sede penale.
Nel primo caso è la sentenza n. 1604/2018 del TAR Calabria ad affermare l’utilizzabilità delle immagini estrapolate dal portale in un processo amministrativo. La vicenda verteva intorno ad un’ordinanza comunale di annullamento in autotutela di una concessione edilizia in sanatoria, dovuta alla scoperta, da parte dell’amministrazione comunale, della costruzione dell’opera abusiva ben oltre la data del 1.10.1983, come prescritto dall’art. 31 della L. 47/1985.
Ebbene, i Giudici del TAR hanno ritenuto corretta la verificazione comunale, la quale aveva provato la realizzazione successiva dell’opera e la dimensione differente proprio tramite il portale Google Earth.
Nel secondo caso, in relazione ad un procedimento penale per reati urbanistici, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48178/2017, ha statuito che i fotogrammi scaricati da Google Earth, in quanto rappresentazione di fatti, persone o cose, costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 234, comma 1, o 189 c.p.p.; spetta, dunque, a chi voglia contestarne l’utilizzabilità in giudizio, eccepirne e provarne la mancata rispondenza al vero.
Il principio affermato in entrambe le decisioni è condivisibile, tenuto conto che chi contesta questa rappresentazione potrà sempre fornire “prova contraria”.
La pericolosità del reo può desumersi anche da ciò che si posta sui social network?
Mostrare alcuni lati della propria personalità, e sponsorizzare le proprie capacità sui social network può essere controproducente in un eventuale giudizio penale, come chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6539/2018.
Un imputato per omicidio colposo stradale si era visto rigettare dal Tribunale per il riesame di Campobasso il ricorso per l’annullamento della misura cautelare personale dell’obbligo di dimora dalle ore 21:00 alle ore 6:00 imposto dal GIP, per il pericolo concreto di reiterazione del reato.
Sia il Tribunale di Campobasso, che la Suprema Corte, hanno valorizzato la personalità dell’imputato che si compiaceva della sua capacità di modificare illecitamente la potenza dei motori delle auto su Facebook; circostanza che, a loro dire, aumentava le probabilità di causare nuovamente un incidente stradale.
In questo caso, correttamente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la positiva capacità di porre in essere comportamenti illeciti (e dunque il pericolo di reiterazione del reato) fosse evincibile anche dalla non contestata manifestazione di noncuranza delle regole tenuta sui social network.
Un tweet può essere considerato un atto di indirizzo di un organo di vertice politico?
A quanto pare sì. Questi i fatti: il Comune della Spezia agiva per la condanna del Ministero per i beni e le attività culturali al risarcimento dei danni da provvedimento illegittimo ai sensi dell’art. 30 c.p.a.. La controversia verteva intorno ad un progetto di riqualificazione architettonica ed artistica di una piazza del comune: dopo una precedente autorizzazione, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per la Liguria sospendeva i lavori e dichiarava l’interesse culturale della piazza e degli alberi, annullando d’ufficio l’autorizzazione, con provvedimenti poi ritenuti illegittimi dal giudice amministrativo.
Ma, per quel che qui interessa, detti atti della Soprintendenza venivano anticipati dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali con un tweet sul social network Twitter. Tale comportamento spingeva il Comune della Spezia a chiedere un risarcimento al Ministero pari all’importo versato alla ditta per il ritardo nell’esecuzione dei lavori.
Il TAR Liguria (sentenza n. 11/2019), ritenendo il tweet un vero e proprio indirizzo politico dell’organo di vertice dell’Amministrazione Statale, tale da influenzare la Soprintendenza e spingerla a sospendere illecitamente i lavori (anche in assenza di un atto formale di indirizzo), ha accordato la richiesta di risarcimento danni.
Sembrerebbe, dunque, che, stante la rilevanza e la portata dei social network, qualsiasi esternazione effettuata tramite gli account ufficiali degli organi politici possa essere considerata al pari di un atto amministrativo, anche se sarebbe più corretto inserirli in una zona intermedia assieme ai comunicati stampa.
Il numero di followers può determinare la rappresentatività di un’associazione?
In questo caso la risposta fornita dalla giurisprudenza rimane ancorata alla realtà fisica.
Un’associazione ambientalista aveva impugnato, con richiesta cautelare, un provvedimento di aggiornamento relativo ad un impianto di stoccaggio rifiuti della Regione Calabria. Quest’ultima, in via preliminare, aveva eccepito il difetto di legittimazione a ricorrere dell’associazione per carenza di rappresentatività, ritenuto dalla giurisprudenza requisito imprescindibile ai fini della legittimazione.
Il TAR Calabria, con la sentenza n. 302/2019, ha ritenuto che la rappresentatività della collettività locale di riferimento non possa prescindere dalla considerazione, quanto meno indiziaria, del numero delle persone fisiche costituenti l’associazione; e che un’associazione fondata da 18 cittadini su un comune di 35.000 abitanti non possa ritenersi rappresentativa della comunità locale di appartenenza. Vieppiù che è irrilevante il numero di followers vantato dall’associazione sul social network Facebook, essendo questi meri osservatori, che con l’atto di “seguire” una pagina non mostrano automaticamente aderenza alla associazione.
La decisione pare corretta in quanto “seguire” una pagina facebook equivale semplicemente a poterne visionare le pubblicazioni nel proprio feed: seguire una pagina, dunque, non vuol dire condividerne le pubblicazioni.
Può la visione di un post su Instagram costituire termine a quo per la querela?
Può sembrare davvero una conclusione eccessiva, ma è quanto affermato recentemente da un sostituto procuratore della Repubblica di Roma nella sua richiesta di archiviazione.
In particolare, il P.M. ha ritenuto tardiva la presentazione di una querela sull’assunto che il querelante avesse avuto notizia del fatto costituente l’ipotesi di reato dalla pubblicazione, da parte del querelato, sul social network Instagram di una fotografia che rappresentava il fatto-reato. E questo perché, a suo avviso, “… la pubblicazione comporta una notifica per tutti i followers …”.
È evidente, nel caso di specie, la mancanza di conoscenza del funzionamento del social network, in quanto la pubblicazione non determina alcuna notifica ai followers, salvo gli stessi non l’abbiano espressamente richiesta (vieppiù che, ormai, esistono algoritmi molto complessi che dettano le regole di inserimenti dei contenuti nel feed degli utenti). In secondo luogo, anche volendo ritenere attive le notifiche ai post del “querelato”, da ciò non deriva automaticamente la presa visione.
Articoli citati
“La notifica di un post su un social network come conoscenza di un fatto… Procura della Repubblica di Roma” forotelematico – 27/03/2019, http://www.forotelematico.com/archivio-articoli?art=53